domenica 21 febbraio 2010

QUEER STUFF – A SINGLE MAN di TOM FORD



Lo ammetto: quando ho letto che Tom Ford aveva girato un film come regista e lo aveva cosceneggiato partendo da un romanzo cult, ho storto il naso. Poi ci ho ripensato ed ho deciso di dargli una possibilità, visto e considerato che l'individuo in questione si è rivelato essere una personale fonte di sorpresa: quando ho visto gli ultimi stivali disegnati da Tom Ford per Gucci nel 2003, per la prima volta ho pensato di essere una feticista del piede.

Il gotha internazionale della moda ed absolute beginner del cinema ha scelto – rischiando - di realizzare un film partendo dall'omonimo romanzo e capolavoro della lettarura gay di Christopher Isherwood: l'autore, geniaccio inglese di nascita trapiantato prima nella Berlino della Weimar e successivamente approdato negli Stati Uniti, è stato un intellettuale legato a W.H. Auden, un outsider nel panorama culturale californiano della cerchia di Aldous Huxley e Bertrand Russel, il compagno di una vita del talentuoso pittore Don Bachardy. Il romanzo è un gioiello: fatevi un favore, leggetelo.

Ambientato nella Los Angeles del 1962, A Single Man è la storia del docente universitario George Falconer, omosessuale ed intellettuale, che vive con il suo compagno (nel film Matthew Goode) e due fox terrier in una casa significativamente di vetro. Non vi svelerò nulla, dicendovi che il film ha a che fare con la perdita ed il lutto che George dovrà affrontare dopo l'improvvisa morte del partner: l'opening act della pellicola, a titoli appena conclusi e senza che nessuno abbia ancora recitato una battuta, è sull'incidente d'auto e da questa scena - peraltro surreale - è immediatamente chiaro che Tom Ford non rinuncerà nei 100 minuti successivi al suo ruolo di esteta.

Il film ha a che fare con la paura, sia quella percepibile come individuo e legata alla morte ed alla solitudine, sia quella comunitaria evocata dalla crisi dei missili a Cuba e da una politica che ha scelto lo scontro tra i due blocchi, dall'idiozia del consumismo americano, dall'appartenere ad una minoranza invisibile. E proprio l'invisibilità è il nodo tragico del film: George Falconer non può vivere pubblicamente il dolore per la perdita dell'uomo cha ha amato per sedici anni ed al cui funerale non può partecipare perchè estromesso dalla famiglia in lutto, Geroge Falconer si costringe a chiudersi in una quieta disperazione non esternata ma anestetizzata da alcol e pillole, Geroge Falconer attraversa impeccabile folle di studenti in un campus universitario completamente avulso dalla realtà.

Tom Ford riempie la vuota routine del protaginista di gesti disperatamente quotidiani e satura le scene di oggetti: stilografiche, vinili, revolver e rastelliere di fucili, telefoni, cassette di sicurezza, ferma cravatte, spazzole da scarpe, pile di asciugamani nevroticamente ripiegati, parafanghi cromati la cui lucentezza spacca il cuore, distributori di caffè, temperini gialli, orologi da parete, calzini e camicie, bottilglie di gin infrante, pacchetti di lucky strike, rasoi, oggetti su cui cade una luce fredda, glaciale e vitrea, in grado di risucchiare il colore e con esso la vita. La bella fotografia di Eduard Grau (http://edugrau.com/), il cui impressionante curriculum annovera film e cortometraggi come music video e commercial, diventa pienamente mezzo espressivo nel momento in cui entrano in scena i corpi: che siano inquietanti bambine appena uscite da un quadro di Tamara De Lempicka e dedite all'allevamento di scorpioni come animali domestici, che si tratti di giovani sconosciuti incontrati in un drugstore o di appassionati studenti in lotta col conformismo, i corpi portano sulla scena una luce calda, gialla se non proprio aranciata, rivitalizzano la pellicola e l'interazione di George col mondo, apportando desiderio e scoperta nella disperazione monocromatica del protagonista.

Il cast è all'altezza della storia. Un Colin Firth così ispirato non lo si vedeva dai tempi di Valmont di Milos Forman: personalmente, mi ha ricordato il Guido di 8 ½, in versione tragica e queer, un personaggio che Mastroianni avrebbe trovato gustoso sicuramente per le scene del sacco a pelo (geniale) e dell'incontro col figlio del vicino (vistoso omaggio a Fellini).
Sua Maestà Julianne Moore è Charlie, amica e confidente di George Falconer, unico personaggio vagamente eccessivo del film: una radical chic decadente ed altoborghese, con una dipendenza da super alcolici che a tratti riporta alla mente il personaggio femminile di Boogie Nights già interpretato dalla Moore. E' con lei che Tom Ford non resiste al richiamo del glamour: le scene in cui Charlie si prepara per la cena e l'accoglienza dell'ospite la sera stessa sono patinate, terribilmente simili alle storiche campagne pubblicitarie che Ford realizzava per Gucci. Julianne Moore resta ed è D.I.V.I.N.A.
Nicholas Hoult, l'insopportabile bambino di About a boy, è cresciuto ed è una piacevole sorpresa: interpreta uno studente di George Falconer a cui decisamente non manca l'iniziativa ed i cui notevoli occhi britannici lasciano intravedere al single man Colin Firth la possibilità di un nuovo inizio – così come predetto dal modello (della maison Tom Ford) Jon Kortajarena in versione cassandra messicana pronta ad elargire pillole di saggezza popolare sudamericana: “Gli amori sono come gli autobus, prima o poi ne passa un altro.”


S.M.

N.B. una versione "tagliata" di questa recensione è apparsa nella rubrica queer stuff su " l'argonauta" http://www.largonauta.it/news/index.php?option=com_content&view=article&id=2696:queer-stuff-il-film-qa-single-manq-di-tom-ford&catid=53:cinema&Itemid=81